Il Consiglio di Stato, con la recente sentenza n. 3528/2023 in data 5 aprile 2023, ha ribadito il principio, già chiarito più volte dalla giurisprudenza amministrativa, della necessità dell’autorizzazione paesaggistica ai fini del condono edilizio anche qualora il manufatto sia stato costruito prima dell’imposizione del vincolo.
Infatti, l’obbligo di pronuncia da parte della commissione edilizia integrata sussiste in relazione all’esistenza del vincolo al momento in cui viene valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo stesso (Cons. Stato, sez. VI, n. 4683/2022).
Nella fattispecie le motivazioni in merito al diniego del condono erano basate sulla circostanza che gli interventi avevano luogo in una zona di particolare pregio ambientale ed in un contesto di riconosciuta bellezza (vincolo con Decreto Ministeriale del 1958) e consideravano che la rilevanza volumetrica degli abusi commessi comportava la conseguente continua visibilità dalla viabilità e dal mare e alterava l’originario edificio con i volumi abusivi collocati al di sopra del piano a loggiato a coronamento dell’edificio stesso.
Secondo tale pronuncia: “il diniego da parte del Comune non richiede una diffusa motivazione, potendosi legittimamente basare anche sul semplice rinvio agli atti acquisiti nel corso del procedimento predetto e formati dalla autorità preposta al vincolo, con conseguente legittimità anche di una motivazione per relationem (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 4163/ 2018). Com’è noto (Cons. Stato, sez. VI, n. 2622/2019), nei pareri negativi di compatibilità paesaggistica, l’onere motivazionale è ben assolto con l’individuazione, nel bene abusivo, di caratteristiche che oggettivamente ne impediscono il corretto inserimento nell’area oggetto di specifica tutela e ciò quand’anche la CEI utilizzi formule stringate o usuali di diniego (ossia analoghe a quelle di altre fattispecie), poiché il contenuto dei giudizi paesaggistici è spesso comune ad una vasta congerie di interventi abusivi non connotati dal benché minimo pregio costruttivo (pur se tra loro differenti per dimensioni, materiali ed assemblaggi), tanto da poter sembrare stereotipate per un gran numero di casi, nei fatti simili. Pertanto, tale parere può esser sinteticamente motivato nel riferimento alla descrizione delle opere e alle concrete circostanze nelle quali le stesse sono collocate, essendo la difesa del paesaggio un valore costituzionale primario; tant’è che in questi casi (Cons. Stato, sez. VI, n. 6276/2018) la giurisprudenza amministrativa, anche della Sezione, è consolidata con riguardo all’estensione e ai termini motivazionali circa la valutazione della compatibilità delle opere edilizie realizzate, dando prevalenza ai valori paesaggistici tutelati, quando non vi siano evidenti errori in fatto o travisamento di oggetto e funzione della tutela e siano rivelati e chiari gli estremi logici dell’incompatibilità”.