La vicenda decisa dal Tar Emilia-Romagna trae origine dal ricorso proposto da un ex Giudice di Pace volto alla costituzione di un rapporto di pubblico impiego (a tempo pieno o part-time) con il Ministero della Giustizia in ragione della ritenuta parità sostanziale di funzioni con i magistrati c.d. “togati”.
A seguito delle questioni pregiudiziali sollevate dal Tar Emila Romagna, la Corte di Giustizia UE si era pronunciata fornendo indicazioni al Giudice del rinvio (dettando taluni principi e criteri di cui quest’ultimo doveva tener conto nell’ambito della sua pronuncia), affidando a quest’ultimo il compito di valutare se le misure adottate nel diritto interno siano adeguate al fine di prevenire l’utilizzo abusivo dei contratti a termine e se del caso sanzionare tale abuso (punto 63 della sentenza C.G.U.E. 7 aprile 2022 C- 236/2020).
Con la pronuncia in esame il Tar Emilia – Romagna ha ribadito in primo luogo la sussistenza in materia della giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di un giudizio di accertamento dell’avvenuta costituzione di un rapporto seppur di fatto ex art. 2216 Cod. Civ. di pubblico impiego non privatizzato perché parzialmente assimilabile, per determinate tutele, a quelle di un magistrato ordinario, richiamando la pronuncia della Corte di Cassazione Civile a Sezioni Unite 16 novembre 2017, n. 27298.
Nel merito il Tar ha ben descritto la figura del giudice di pace, la normativa applicabile, le competenze sia in materia civile che in materia penale, evidenziando che il Giudice di Pace sia tenuto all’osservanza dei provvedimenti organizzativi speciali e generali del Consiglio Superiore della Magistratura su parere del Consiglio Giudiziario, al pari dei magistrati di carriera, ed in caso di inosservanza dei doveri deontologici e d’ufficio è sottoposto, al pari dei magistrati togati, al potere disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con modalità diverse meno garantiste rispetto a quelle previste per i magistrati togati.
Il Tar Emilia- Romagna ha ricordato che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha sempre qualificato il Giudice di Pace quale giudice semiprofessionale ed ha escluso l’inquadrabilità della figura in questione nel rapporto di pubblico impiego, oltre che nella stessa parasubordinazione di cui all’art. 409 Cpc n. 3, mentre la giurisprudenza amministrativa è stata in passato compatta nel negare l’equiparazione dei Giudici di Pace ai giudici togati.
Ferma la ricostruzione di cui sopra il Tar Emila Romagna ha, da un lato, escluso la totale equiparazione dello status dei Giudici di Pace rispetto ai giudici togati sussistendo “ragioni oggettive” per la diversità di trattamento: differenti modalità di accesso alla magistratura ordinaria per cui è richiesto uno specifico e selettivo concorso pubblico per esami (che consente di esprimere uno standard di professionalità qualitativamente superiore che la procedura per la nomina dei Giudici di Pace non consente affatto di far emergere), lo svolgimento di attività giurisdizionali differenti anche da un punto di vista qualitativo, competenza dei Giudici di Pace diversa e ben più limitata rispetto a quella riservata ai magistrati ordinari.
Nonostante quanto sopra il Collegio ha ritenuto che il rapporto di lavoro dei Giudici di Pace debba ritenersi parzialmente comparabile con quello del Giudice togato al fine del riconoscimento del diritto alle ferie, oltra che della tutela assistenziale e previdenziale, considerato che, al di là delle differenze evidenziate dalla stessa pronuncia, i magistrati onorari sono sottoposti agli stessi vincoli in termini di organizzazione del lavoro, controllo e direzione dei capi degli uffici e degli organi di autogoverno, nonché di responsabilità civile ed erariale.
Diversamente argomentando, a parere del Tar Emilia- Romagna, il Giudice di Pace sarebbe un lavoratore subordinato a tempo determinato solamente in via formale in quanto completamente privo di tutela assistenziale e previdenziale e senza nemmeno la titolarità del diritto alle ferie (diritto irrinunciabile ex art. 36 Cost.).
Di conseguenza, il Tar ha statuito che la ricorrente, per le funzioni di Giudice di Pace svolte, rientra nella nozione di lavoratore a tempo determinato secondo il diritto eurounitario e, di conseguenza, ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento delle ferie non godute, oltre interessi come per legge, in relazione al periodo in cui la ricorrente ha svolto le funzioni di Giudice di Pace.
Parimenti, sempre per tale periodo, il Ministero della Giustizia è stato condannato al pagamento in favore dell’INPS dei contributi previdenziali non versati previa ricostruzione della posizione previdenziale della ricorrente.
Inoltre, è stato riconosciuto il diritto della ricorrente al risarcimento di tutti i danni subiti per effetto della abusiva reiterazione di rapporti a termine ai sensi dell’art. 36, comma 5 del D.Lgs. n. 165/2001; tali danni sono stati quantificati in dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto spettante, oltre interessi avuto riguardo alla lunga durata del servizio prestato quale Giudice di Pace ed al comportamento recidivo del datore di lavoro.
Infine, il Tar Emilia Romagna – rigettando le eccezioni di prescrizione formulate dalle Amministrazioni resistenti – ha evidenziato che l’esercizio dei diritti retributivi e contributivi propri di un rapporto di lavoro subordinato sia stato impedito nel nostro ordinamento fino alla pronuncia della Corte di Giustizia del 16 luglio 2020 (che nel decidere una questione pregiudiziale sollevata dal Giudice di Pace di Bologna, volta alla condanna del Governo italiano al pagamento delle ferie non retribuite, aveva statuito che il Giudice di Pace dovesse essere inteso a determinate condizioni quale lavoratore a tempo determinato secondo le rilevanti norme del diritto UE) stante il granitico orientamento della giurisprudenza italiana volto a negare ai Giudici di Pace l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e le corredate tutele.
Sentenza n 304 2023 del Tar Emilia Romagna in merito ai giudici di pace