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Le Sezioni Unite Civili, con la recente sentenza n. 19129 in data 6 luglio 2023, decidendo in merito ad una questione oggetto di contrasto giurisprudenziale in relazione ai danni subiti per effetto della trasfusione di sangue infetto, hanno dettato diversi principi.

Nella parte motiva di tale sentenza viene ben chiarito che il diritto all’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 e quello al risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ., che l’ordinamento riconosce come concorrenti, presuppongono entrambi un medesimo fatto lesivo, ossia l’insorgenza della patologia, derivato dalla medesima attività (cfr. in motivazione Cass. S.U. 11 gennaio 2008 n. 584).

Nello specifico viene precisato che l’azione di danno si differenzia da quella finalizzata al riconoscimento della prestazione assistenziale in quanto richiede che l’attività trasfusionale o la produzione di emoderivati siano state compiute senza l’adozione di tutte le cautele ed i controlli esigibili a tutela della salute pubblica.

La Suprema Corte a Sezioni Unite rileva che, essendo in presenza di diritti e di azioni che presentano elementi costitutivi comuni scaturiscono le questioni  oggetto della pronuncia, ossia relativamente al valore probatorio del verbale redatto dalla Commissione Medica Ospedaliera, nonché l’incidenza nel giudizio civile di risarcimento del danno dell’avvenuto riconoscimento in via amministrativa della prestazione assistenziale, nonché l’efficacia, in quest’ultimo giudizio, del giudicato formatosi fra le stesse parti sul diritto alla liquidazione dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992.

Proprio in ragione del dibattito processuale sviluppatosi successivamente all’ordinanza di rimessione ed in ragione del ruolo nomofilattico che l’ordinamento assegna alla Corte di Cassazione, nella sua massima espressione, le Sezioni Unite hanno ritenuto di doversi pronunciare anche su dette ulteriori questioni, seppure non ricomprese nell’ambito di devoluzione circoscritto dall’ordinanza interlocutoria.

Di conseguenza la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha pronunciato i seguenti principi di diritto:

  1. a) nel giudizio risarcitorio promosso nei confronti del Ministero della Salute in relazione ai danni subiti per effetto della trasfusione di sangue infetto, il verbale redatto dalla Commissione medica di cui all’art. 4 della legge n. 210 del 1992 non ha valore confessorio e, al pari di ogni altro atto redatto da pubblico ufficiale, fa prova ex art. 2700 cod. civ. dei fatti che la commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le diagnosi, le manifestazioni di scienza o di opinione costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice che, pertanto, può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può attribuire allo stesso il valore di prova legale;
  2. b) nel medesimo giudizio, il provvedimento amministrativo di riconoscimento del diritto all’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, pur non integrando una confessione stragiudiziale, costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale, sicché il Ministero per contrastarne l’efficacia è tenuto ad allegare specifici elementi fattuali non potuti apprezzare in sede di liquidazione dell’indennizzo o sopravvenute acquisizioni della scienza medica, idonei a privare la prova presuntiva offerta dal danneggiato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che la caratterizzano;
  3. c) nel giudizio di risarcimento del danno il giudicato esterno formatosi fra le stesse parti sul diritto alla prestazione assistenziale ex lege n. 210 del 1992 fa stato quanto alla sussistenza del nesso causale fra emotrasfusione e insorgenza della patologia ed il giudice del merito è tenuto a rilevare anche d’ufficio la formazione del giudicato, a condizione che lo stesso risulti dagli atti di causa.

 

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