In relazione ai militari è ormai superata la regola della pregiudizialità dell’accertamento giudiziario penale rispetto al procedimento disciplinare.
Infatti, l’art. 1393 del D.Lgs. n. 66/2010 prevede che: “Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale”.
La nuova formulazione dell’art. 1393 del D.Lgs. n. 66/2010 prevede però due eccezioni alla regola generale del venir meno della pregiudiziale penale, laddove si tratti di: – infrazioni di maggiore gravità, qualora si riscontri particolare complessità dell’accertamento o qualora, all’esito degli accertamenti preliminari, non si disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare; – atti e comportamenti compiuti dal militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio. In tale ipotesi l’Amministrazione ha un vero e proprio obbligo di sospensione del procedimento disciplinare, in attesa dell’esito del processo penale, senza che residuino spazi di valutazione discrezionale.
In caso di complessità dell’accertamento dei fatti addebitati l’Amministrazione non deve promuovere il procedimento disciplinare sino all’esito di quello penale ma deve procedere al rinvio del procedimento disciplinare, in attesa delle risultanze del processo pendente dinanzi all’Autorità Giudiziaria.
Ciò in quanto, in primo luogo, l’acquisizione materiale dei fatti da porre a base dell’iniziativa disciplinare deve avvenire in modo solido e sicuro, con affidabile accertamento istruttorio dei nessi di causalità quanto meno secondo lo standard del “più probabile che non” (ove non si riesca a conseguire un ancor più auspicabile accertamento “al di là di ogni ragionevole dubbio”) non potendosi fare correttamente leva su elementi di fatto oggettivamente vaghi o pericolosamente confusi al fine di imbastire sanzioni di disciplina munite spesso di profonda afflittività individuale.
L’Amministrazione, in altri termini, per irrogare legittimamente sanzioni disciplinari deve acquisire fatti storici assistiti da un congruo supporto probatorio, in quanto, ove altrimenti si ritenga, la sanzione disciplinare potrebbe intervenire in modo del tutto arbitrario e privo di addentellato con la realtà materiale.
E’ evidente che nel caso in esame l’Amministrazione – considerata la palese complessità della vicenda che avrebbe richiesto una adeguata attività istruttoria – non disponesse di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare.
In merito all’ulteriore ipotesi di atti e comportamenti compiuti dal militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizi, nella Guida tecnica “Procedure Disciplinari” 7^ Edizione 2021 del Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare si chiarisce che:“…. la locuzione “nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio” richiede un nesso di strumentalità diretto tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto rimproverato al Militare. Sono di conseguenza escluse le azioni che, ancorché compiute in orario e luogo di servizio, attengono esclusivamente alla sfera individuale del soggetto perché in nessuna misura idonee a realizzare un interesse o un fine proprio dell’Amministrazione” .
Nello stesso senso si è pronunciata la recente giurisprudenza amministrativa che ha ben chiarito il significato dell’espressione “nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio” precisando: “Ciò significa, in definitiva, che l’espressione in adempimento di obblighi e doveri di servizio è da interpretare nel significato di “nel corso dell’espletamento” ovvero “in concomitanza” con l’adempimento di obblighi e doveri di servizio. Diversamente opinando l’art. 1393, comma 1, penultimo periodo, c.o.m. diverrebbe “in parte qua” inapplicabile (cfr. T.A.R. Lazio, I-bis, n. 10391/2021 riportata da T.A.R. Lazio I – bis, n. 5442/2022). In precedenza, negli stessi termini, si era già espresso il T.A.R. Roma, Sez. I – bis, ordinanza n. 5638/2017 (in un caso di fatti e comportamenti condotti dal militare nello svolgimento di una perquisizione, peculato, falsità ideologica nella redazione del verbale delle relative operazioni).
Come chiarito nella citata Guida tecnica l’Amministrazione deve, in primo luogo, effettuare la valutazione circa la connessione dei fatti contestati con il servizio, quale primo passo di un iter logico che conduce alla decisione in merito all’instaurazione del procedimento disciplinare.
In tale Guida viene precisato: “L’Autorità Militare competente deve innanzitutto accertare se la vicenda nella quale è rimasto coinvolto il Militare si inquadri nello svolgimento di una prestazione lavorativa i cui effetti sono tipicamente attribuibili all’Amministrazione; in tal caso come precisato dalla Guida tecnica “..l’asserita illiceità penale della vicenda determina una situazione di potenziale conflitto di interessi tra il Militare e l’Amministrazione, conflitto che ha indotto il Legislatore a demandare per intero a un organo terzo e imparziale (l’Autorità Giudiziaria) l’accertamento in concreto dei fatti”.
Qualora sussista una delle ipotesi previste dall’art. 1393 del D.lgs. n. 66/2010 trova applicazione l’istituto della sospensione del procedimento disciplinare in attesa degli esiti di quello penale.
Nel caso in cui l’Amministrazione promuova ugualmente il procedimento disciplinare e non lo sospenda sino all’esito del giudizio penale, il provvedimento adottato in sede disciplinare può essere impugnato nelle competenti sedi, con richiesta di annullamento in quanto posto in essere in violazione dell’art. 1393 del D.Lgs. n. 66/2010 e dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.