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Avv. Alessandra Cavagnetto

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UNA RECENTE SENTENZA DEL T.A.R. MARCHE FA IL PUNTO SUI REQUISITI AFFINCHE’ POSSA SUSSISTERE LA FATTISPECIE DEL MOBBING DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO (MINISTERO DELL’INTERNO), ESAMINANDO LA RICHIESTA RISARCITORIA DI UN ASSISTENTE CAPO COORDINATORE DELLA POLIZIA DI STATO.

Il T.A.R. Marche – respingendo il ricorso proposto da un assistente capo coordinatore della Polizia di Stato – si è di recente pronunciato (con sentenza n. 793/2023) in merito alla richiesta di risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale formulata in ragione delle condotte vessatorie, illegittime e contrarie a buona fede asseritamente tenute da parte dell’Amministrazione, quale datore del lavoro e che avrebbero comportato una lesione alla professionalità della dipendente.

Infatti, a parere della ricorrente, le condotte poste in essere dall’Amministrazione nei suoi confronti erano scaturite da problematiche inerenti la fruizione di permessi previsti dalla Legge n. 104/1992 ed ex D.Lgs. n. 151/2001; tale questione era stata in precedenza definita dallo stesso T.A.R. Marche (con sentenza n. 514/2020) con sentenza favorevole alla ricorrente con cui era stato stabilito il diritto di quest’ultima alla fruizione dei permessi come dalla stessa richiesti.

Secondo la ricostruzione della ricorrente, costituiva condotta vessatoria anche il trasferimento di ufficio: anche tale profilo era stato oggetto di ricorso giurisdizionale, conclusosi in senso sfavorevole alla ricorrente (con sentenza dello stesso T.A.R. Marche, n. 515/2020) e poi riformata dal Consiglio di Stato (con pronuncia n. 9801 del 15 novembre 2023) che aveva dichiarato l’illegittimità per difetto di motivazione del trasferimento disposto nei confronti della ricorrente.

Inoltre, la ricorrente ricomprendeva nelle condotte ritenute vessatorie anche questioni relative a comunicazioni e notificazioni alla stessa di provvedimenti relativi alla gestione del rapporto di lavoro.

Per di più la ricorrente lamentava anche la sussistenza del c.d. “mobbing orizzontale” in quanto riteneva che la persecuzione di cui era vittima da parte dei vertici dell’ufficio di appartenenza aveva influenzato alcuni colleghi.

Parimenti, costituivano espressione di mobbing, a parere dell’interessata, anche le modalità di valutazione della prestazione lavorativa (tant’è che la valutazione annuale del 2018 era risultata molto più bassa rispetto agli anni precedenti e che – a seguito della presentazione del ricorso gerarchico – il punteggio era stato aumentato), l’erronea decurtazione stipendiale motivata con assenza per malattia, nonché il fatto che il datore di lavoro avrebbe rimosso dal computer di servizio della ricorrente informazioni relative all’impiego.

A dimostrazione del danno asseritamente patito la ricorrente deduceva un nesso eziologico tra la condotta vessatoria del datore di lavoro e le patologie patite (cardio vascolari, oculistiche, urologiche e psicologiche), chiedendo al T.A.R. di disporre CTU medica e contabile per la quantificazione puntuale del danno subito.

Il Collegio, riassunte le doglianze della ricorrente, si è soffermato sulla fattispecie del mobbing, ribadendo i principi dettati in materia alla giurisprudenza amministrativa, evidenziando che sotto il profilo soggettivo la configurabilità del mobbing richiede una strategia unitaria in attuazione della quale il datore di lavoro deve realizzare “una molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio” (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. II, n. 4671/2022 e n. 862/2021 e l’ulteriore giurisprudenza ivi richiamata).

In altri termini, a parere del T.A.R. Marche che ha sposato la giurisprudenza consolidata in materia, un singolo atto illegittimo, o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, di per sé considerati, non sono necessariamente sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante.

Quanto all’elemento psicologico della condotta posta in essere dal datore di lavoro, il T.A.R. Marche ha evidenziato che occorre un comportamento non semplicemente colposo ma doloso, tant’è che “in caso di denunziato mobbing si può ritenere sussistente l’illecito solo se si accerti che l’unica ragione della condotta è consistita nel procurare un danno al lavoratore, mentre bisogna escluderlo in caso contrario, indipendentemente dall’eventuale prevedibilità e occorrenza in concreto di simili effetti. Una restrizione del genere, se permette per un verso di rinvenire nel mobbing un’ulteriore manifestazione del divieto di agire intenzionalmente a danno altrui, che costituisce canone generale del nostro ordinamento giuridico e fondamento dell”exceptio doli generalis’, consente per altro verso di escludere dall’orbita della fattispecie tutte quelle vicende in cui fra datore di lavoro e lavoratore si registrano semplicemente posizioni divergenti o perfino conflittuali, affatto connesse alla fisiologia del rapporto di lavoro” (così Cons. Stato, Sez. II, n. 862/2021, cit.; in termini, ancor più di recente, Sez. II, n. 4982/2022 e n. 6534/2022), (Consiglio di Stato sez. II, 19/12/2022, n. 11050).

In ragione dei richiamati principi giurisprudenziali il T.A.R. Marche ha ritenuto che, nel caso di specie, non sussistessero i diversi elementi costitutivi del mobbing, come delineati dalla giurisprudenza; in primis, a parere dei Giudici, l’orizzonte temporale della vicenda (circa un anno e mezzo durante il quale la ricorrente aveva prestato attività lavorativa avendo fruito di congedi ex lege) non appariva sufficientemente prolungato per configurare la sistematica e reiterata adozione di atti o condotte idonee a integrare l’ipotesi di mobbing lavorativo.

Peraltro, con un ragionamento particolarmente restrittivo il T.A.R. ha ritenuto che gli atti relativi alla fruizione dei congedi per assistenza ed il trasferimento di ufficio – seppure dichiarati illegittimi dallo stesso T.A.R. e dal Consiglio di Stato – non fossero necessariamente sintomatici della presenza di un comportamento mobizzante in quanto la dichiarazione di illegittimità e l’annullamento del trasferimento  per grave difetto di motivazione non equivaleva a qualificarlo come avente carattere punitivo.

Per quanto riguarda gli ulteriori fatti evidenziati dalla ricorrente in quanto aventi carattere vessatorio, il T.A.R. Marche ha escluso la sussistenza di mobbing, ritenendo che dovessero essere ricondotto, al più, a sporadiche situazioni conflittuali fisiologiche nei rapporti di lavoro, piuttosto che ad un disegno persecutorio preordinato a creare un danno alla ricorrente.

In conclusione, il T.A.R. ha ritenuto che nel caso in esame non fosse configurabile quel comportamento datoriale miratamente sistematico e prolungato nel tempo contro il dipendente con intento vessatorio, necessario affinché potesse configurarsi un caso di mobbing.

Stante la ritenuta insussistenza degli elementi costitutivi tipici del mobbing, così come delineati dalla giurisprudenza, il T.A.R. Marche ha ritenuto che non occorressero, ai fini della decisione, né la consulenza tecnica di ufficio medica, né quella contabile.

T.A.R. Marche 793 2 dicembre 2023